Come spesso accade, è quasi impossibile identificare in una persona la paternità di un processo che evolve nel corso dei secoli, e non è semplice scindere i fatti dalle leggende. Già nel 60 d.C. Plinio il Vecchio ne citava un’antenata, la cosiddetta provatura, prodotta nel Campo Cedicio, zona ora rintracciabile nei pressi del fiume Volturno, celebre per gli allevamenti bufalini e di conseguenza per la produzione di latte di bufala (all’epoca però il bufalo non era ancora presente, quindi cagliata e filatura venivano realizzate con latte vaccino).
Per trovare la prima fonte scritta che attesti l’uso del termine “mozzarella”, bisogna risalire al 1570 circa. Fu usato in un documento da Bartolomeo Scappi, cuoco della Corte Papale, più precisamente in un ricettario, dove Scappi scrisse “capo di latte, butirro fresco, ricotte fiorite, mozzarelle fresche et neve di latte”. È del 1481 circa invece il primo documento in cui si trova la parola “mozza”, a indicare l’atto del mozzare, ovvero staccare con indice e pollice una porzione di pasta filata.
Le testimonianze indirette sono però antecedenti di addirittura quattro secoli. E, incredibile a dirsi, fu una guerra a portare alla nascita della mozzarella. Nel 915 i Longobardi, facenti parte della Lega Cristiana con Bizantini e Stato Pontificio, sconfissero i Saraceni nella Battaglia del Garigliano e ottennero come premio una razza animale portata in Europa proprio dagli arabi: il bufalo.
Nell’XI secolo, la regina Aloara di Capua offrì ospitalità ai monaci del monastero di San Lorenzo di Capua e questi, per ringraziarla, secondo la leggenda le rivelarono i segreti di un formaggio realizzato con strumenti specifici per la trasformazione del latte di bufala, passando dalla sua coagulazione a un formaggio che fino a quel momento nessuno aveva potuto assaggiare.
Inizialmente però la mozzarella non era vista come oggi un’eccellenza e una specialità della cultura casearia, godeva anzi di cattiva reputazione: la scarsa capacità di conservazione la rendeva un prodotto problematico, sia per quanto riguardava il trasporto che per la commercializzazione. Era quindi un prodotto dalla diffusione limitata ai mercati locali e limitrofi e gli allevatori puntavano su altri animali o sull’agricoltura. Lo stesso termine “mozzarella” ha una forma vezzeggiativa, quasi sminuente.
Le cose cambiarono notevolmente a partire dalla fine del XVIII secolo, quando le bufale e la lavorazione di prodotti da loro derivati (latticini e carne) iniziarono a diventare popolari. Ruolo fondamentale per l’incremento di produzione e diffusione della mozzarella lo ebbero il Re di Napoli Ferdinando IV e la Tenuta Reale di Carditello, nel cui impianto si attuò una cura maniacale verso l’animale e i suoi derivati. Primo caseificio moderno della storia, la Reale Industria della Pagliata delle Bufale fu la culla dell’evoluzione del bufalo, grazie anche a incroci selezionati con esemplari di un’altra tenuta dei Borboni, la Tenuta di Persano, nella Piana del Sele.
Nel 1866 viene ufficializzato nero su bianco il matrimonio più famoso della cucina italiana, quello della mozzarella con la pizza. Lo si trova in “Usi e costumi di Napoli”, di Francesco de Bourcard.
A partire dagli anni Novanta, la mozzarella di bufala ha ottenuto il riconoscimento di denominazione di origine protetta (DOP), un marchio che tutela l’origine e il valore di un prodotto il cui sapore è conosciuto in tutto il mondo.